Il silenzio, riprendendo la lezione del compositore John Cage, è tutt'altro che assenza. Al contrario è una condizione densa d'interrogativi che mette in attesa, incrina le certezze, sospende un significato conosciuto per rivelarne uno ignoto. E' uno spazio "pieno" che nelle arti, non solo costituisce parte della composizione ma è metafora che diventa rappresentazione di un'immagine e di un pensiero la cui epifania parte dalla realtà per arrivare alla sua dimesione nascosta...
Ed è proprio la parola silenzio uno dei sostantivi ricorrenti nella poetica di Pier Paolo Fassetta... Sono opere potenti che tuttavia non gridano ma sussurrano, per questa ragione, per comprendere, è necessaria attenzione. Osservando le sue fotografie veniamo catapultati in un mondo in cui la realtà è trasfigurata mediante un processo creativo dove la tecnica è alla base ma serve solo come strumento che sottende il concetto. Sono sovrapposizioni, sfocature, mossi, utilizzati ai fini della sperimentazione che prevede l'utilizzo di diverse forme d'arte. L'obiettivo è stimolare la percezione visiva creando un immaginario denso di metafore e simboli in cui il tempo, lo spazio e l'uomo vengono reinterpretati grazie alla spiccata sensibilità che ha caratterizzato l'autore fin dagli esordi alla fine degli anni '60. (da Monica Mazzolini)
Una ricerca espressiva sempre libera da qualsivoglia condizionamento e mai svincolata dal tessuto reale. Pier Paolo Fassetta è un artista discreto, ma molto curioso, un instancabile alchimista dell'immagine. Non è possibile parlare del fotografo senza guardare all'architetto, al pittore, all'insegnante, si rischiederebbe di perdere l'assonanza tra mondi che gli offrono sempre un sistema mobile di relazioni. Attento a ogni sollecitazione proveniente dai mezzi tecnologici di comunicazione, idealità e progetto si rincorrono approfondendo la ridefinizione di tutto ciò che si dispiega come stimoli visivi e percettivi. Già dalla fine degli anni '60 la fotografia diventa il mezzo privilegiato di ricerca perchè rinnova, come lui stesso dice "un nomadismo linguistico"... La successione di fotogrammi gli permette di dilatare la staticità della singola immagine in una sequenza di inquadrature di ricordo cinematografico, si sovrapporre tempo, spazio reale e mentale. Usa un criterio analitico e arbitrario, ma più che manipolare lo scatto originario, ne scopre le potenzialità, dando valore anche alla casualità... (da Maria Angela Tiozzi)
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