Ricordare è un obiettivo precario perchè l'organizzazione cognitiva delle cose del mondo a cui siamo abituati non è mai definitiva e ogni traccia della memoria è destinata a essere riformulata. Per questo, Barbara Pelizzon spalanca le porte agli oggetti che le sono più cari, ai materiali di scarto, a contesti, gesti.
Peripezie esistenziali, oltrechè culturali, tracciano un percorso narrativo frastagliato e affollato.
"Cerco sogni perduti e metto insieme pezzi, ma mi manca sempre qualcosa", scrive Osvaldo Soriano in El ojo de la patria: Barbara cerca sogni imprigionati nella lana di vecchi materassi dismessi, cerca di dare forma visibile a quel "qualcosa" tessendo - senza rispetto per classificazioni di generi o per regolate diramazioni di tempo e spazio - un intreccio aggrovigliante tra amore di vivere e dolore, finanche a sfiorarne la violenza. L'impatto può essere respingente e seducante.
L'installazione che campeggia solenne nell'Oratorio di Villa Simion è un insieme conturbante di tensione e mollezza: resti metallici degradati dalla loro funzione originaria convivono con tessuti preziosi e lana, manipolati però sino a diventare memoria di propaggini dissotterrate, ciò che l'artista nomina "cordoni ombelicali".
(da Maria Angela Tiozzi)
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